Qualche giorno fa mi è capitato un episodio curioso — apparentemente banale, ma che mi ha fatto riflettere a lungo sul modo in cui oggi leggiamo, ascoltiamo e reagiamo alle parole degli altri.
Avevo letto un articolo su Substack che criticava l’apposizione del bollino Vegan su una passata di pomodoro.
L’autrice sosteneva, con argomenti assolutamente condivisibili, che si trattasse di un claim ridondante, se non addirittura ingannevole: il pomodoro è già un prodotto vegetale, scriveva, quindi perché dichiararlo vegan?.
Fin qui, tutto comprensibile.
Così ho deciso di lasciare un commento, non per contraddire, ma per ampliare il punto di vista.
Ho provato a spiegare che, per chi segue un’alimentazione vegana — come me — per ragioni etiche, il bollino Vegan non riguarda solo il contenuto del prodotto, ma anche il processo produttivo: i coadiuvanti tecnologici, i fertilizzanti, le eventuali contaminazioni, lo sfruttamento (e/o la sofferenza) degli animali.
In altre parole, quel simbolo — quando è certificato — serve a garantire una coerenza di filiera.
Mi sembrava un contributo pacato, complementare, quasi ovvio.
Eppure, la risposta che ho ricevuto mi ha spiazzato. L’autrice mi ha ribadito ciò che avevo già riconosciuto — che la passata di pomodoro è per legge un prodotto vegetale e che, spesso, il bollino Vegan viene usato in modo strumentale.
Era come se non avesse letto davvero quello che avevo scritto, o meglio: come se lo avesse letto attraverso un filtro, pre-interpretando il mio intervento come una difesa ideologica del “mondo vegano”.
A quel punto ho capito che non si trattava di un semplice fraintendimento linguistico, ma di un meccanismo molto più profondo.
L’autrice non reagiva al mio contenuto, ma alla mia posizione percepita.
Probabilmente aveva letto non le mie parole, ma l’immagine che lei si era costruita di chi — come me, vegano — può aver scritto quelle parole.
E in questo, paradossalmente, mi ha offerto un grande spunto. Per questo la ringrazio, perché la sua risposta, pur non cogliendo il senso del mio commento, mi ha spinto a interrogarmi sul modo in cui, tutti noi, leggiamo il mondo.
Ho cominciato a riflettere su un fenomeno che potremmo descrivere così: quando leggiamo, spesso non cerchiamo di capire, ma di difenderci.
Difenderci da ciò che potrebbe mettere in discussione la nostra visione delle cose.
Difenderci dalla possibilità che l’altro — anche quello che percepiamo come avverso — possa avere ragione.
È un meccanismo che potremmo definire ermeneutica difensiva: non interpretiamo per comprendere, ma per proteggere la coerenza interna del nostro mondo.
Così, anche un messaggio che ci è favorevole può essere letto come un attacco, se proviene da una fonte che non riconosciamo come “nostra”.
Nell’ermeneutica difensiva, la fonte — cioè chi parla — diventa più importante di cosa dice.
Se la fonte è percepita come “altra”, “avversa” o semplicemente “esterna” al nostro sistema di riferimento, allora il contenuto del suo discorso viene automaticamente reinterpretato come opposto.
È un meccanismo di autoprotezione cognitiva. Difendiamo la nostra identità e la coerenza del nostro mondo simbolico leggendo l’altro come se fosse inevitabilmente in disaccordo, anche quando, paradossalmente, non lo è.
Questo accade continuamente nel dibattito pubblico.
Pensate a quante volte, sui social o nella sfera politica, qualcuno reagisce a un messaggio senza davvero ascoltarlo, ma etichettando subito la fonte: “lo dice un ambientalista”, “lo dice un imprenditore”, “lo dice un vegano”, “lo dice un progressista”.
A quel punto la comunicazione non avviene più sul piano del contenuto, ma su quello dell’appartenenza.
E tutto ciò che viene da fuori è filtrato come ostile, anche quando, in realtà, sarebbe un contributo convergente.
Riconoscere questo meccanismo non serve a giudicare, ma a comprendere, a diventare più lucidi.
È umano: quando ci sentiamo minacciati nelle nostre convinzioni, l’ascolto diventa selettivo, e la comprensione si piega per salvaguardare la nostra coerenza interna.
Ma se vogliamo davvero dialogare — non solo comunicare — dobbiamo imparare a sospendere questa difesa, a leggere prima il contenuto e solo dopo la fonte.
Ogni volta che reagiamo, invece di comprendere, perdiamo un’occasione di vedere davvero. E ogni volta che ci chiudiamo nel riflesso della difesa, rinunciamo a scoprire qualcosa che potrebbe ampliare la nostra prospettiva.
La vera libertà, forse, comincia lì: nel momento in cui riusciamo a restare presenti davanti a ciò che ci disturba, a sospendere il bisogno di avere ragione, e ad ascoltare senza filtri.
Non per arrenderci alle idee degli altri, ma per comprendere meglio le nostre.
Perché, alla fine, non è l’altro che ci inganna — siamo noi che, per paura di cambiare, smettiamo di vedere.
Termine proposto: ermeneutica difensiva (o anche bias reattivo alla fonte).
Definizione (sintetica): l’insieme di processi interpretativi per i quali un ricevente attribuisce al testo una valenza oppositiva sulla base dell’appartenenza o della percezione della fonte, riformulando o ignorando il contenuto reale affinché risulti coerente con le aspettative identitarie e con la difesa di uno schema cognitivo preesistente.
In altri termini: non si tratta soltanto di cercare informazioni che confermino le proprie idee, ma di interpretare anche informazioni favorevoli come se fossero contrarie perché provengono da una “fonte ostile”.
Inquadramento teorico
L’ermeneutica difensiva si colloca nello spettro di fenomeni già noti alla psicologia cognitiva e alla teoria della comunicazione, ma ne enfatizza la componente ermeneutica (interpretativa) legata alla sorgente del messaggio:
- Confirmation bias: qui la similarità è l’orientamento a preservare credenze pregresse; l’ermeneutica difensiva è però più specifica perché la distorsione nasce dall’identità della fonte, non (solo) dal contenuto.
- Motivated reasoning / identity-protective cognition: l’interpretazione serve a difendere l’identità; l’ermeneutica difensiva è una forma in cui il motivo identitario si realizza attraverso la lettura della fonte.
- Source derogation / source credibility heuristics: la credibilità attribuita alla fonte agisce come filtro interpretativo; nell’ermeneutica difensiva la bassa credibilità percepita non solo squalifica, ma ribalta il significato attribuito.
- Backfire-like dynamics: a volte la confutazione attesa viene trasformata in rafforzamento o negazione del contenuto; l’ermeneutica difensiva spiega casi in cui persino contenuti conformi vengono letti come avversivi.
Meccanismi psicologici e discorsivi
- Salienza della fonte: l’identità o l’etichetta della fonte è il primo dato processato; quando la fonte è percepita come “altra”, quella salienza guida l’interpretazione successiva.
- Aspettative e schemi interpretativi: il lettore attiva schemi che prevedono opposizione da quella fonte; ogni frase verrà selezionata e reinterpretata secondo lo schema.
- Attribuzione di intenzionalità: si assume che la fonte stia “cercando” di persuadere o manipolare, e si ricostruisce il testo come strumento retorico piuttosto che come enunciazione fattuale.
- Difesa identitaria: la minaccia percepita alla propria identità (ideologica, morale, professionale) spinge verso una lettura difensiva che preservi coerenza interna.
- Riduzione dell’attenzione analitica: sotto carico emotivo o motivazionale, il lettore adotta euristiche, evita l’analisi puntuale del contenuto e reagisce sinteticamente alla “fonte”.
4. Fenomenologia osservabile
- Ribattute generiche: risposta con riaffermazione della tesi iniziale anziché dialogo sui punti specifici.
- Spostamento del focus: il ricevente rimette l’accento su elementi secondari (es. legalità, marketing) invece che interagire con le argomentazioni precise del testo.
- Attribution bias: interpretazione del messaggio come “volontà di danneggiare” o “propaganda”, anche quando il contenuto non lo indica.
- Negazione selettiva: ignorare le parti del testo che confermano la propria posizione e enfatizzare presunti elementi contraddittori.
L’esempio della passata di pomodoro è paradigmatico: il lettore vegano spiega perché una certificazione “Vegan” non sia solo ridondante, ma garantisca processi; l’autrice interpreta la presenza del bollino come puro marketing e risponde difendendo la critica — senza accogliere l’integrazione sulla funzione della certificazione.
Conseguenze epistemiche e sociali
- Peggioramento del dialogo pubblico: si riduce la possibilità di convergenza su fatti e si polarizzano le posizioni.
- Erosione della fiducia epistemica: la fiducia verso le certificazioni o le controdeduzioni può essere distorta, sia in senso di sfiducia generalizzata sia in senso di fiducia acritica verso fonti “amiche”.
- Vulnerabilità a manipolazioni retoriche: quando la sorgente diventa filtro primario, gli argomenti cadono vittima di stereotipi e attacchi ad hominem.
- Danno alle pratiche deliberative e regolatorie: regolamentazioni e certificazioni rischiano di essere interpretate attraverso il prisma identitario anziché valutate per contenuto e metodo.
Come riconoscerla e come ridurla: suggerimenti operativi
A. Indicatori per riconoscere l’ermeneutica difensiva
- la discussione resta su “chi parla” anziché su “cosa si dice” (ripetuta invocazione della fonte);
- assenza di engagement con dati o argomentazioni puntuali presenti nel testo;
- uso di etichette morali (es. “propaganda”, “scandalo”) senza analisi testuale.
B. Strategie individuali
- Sospendere la fonte come categoria ermeneutica: leggere il contenuto cercando prima di identificare le affermazioni specifiche e gli argomenti, poi valutare la fonte.
- Esercizio di ermeneutica generosa: tentare esplicitamente un’interpretazione che valorizzi la coerenza interna del testo e ne verifichi le asserzioni prima di respingerle.
- Pratiche di meta-comunicazione: dichiarare l’intento quando si risponde (es. “intendo aggiungere, non contraddire”) per ridurre l’attribuzione di ostilità.
C. Strategie istituzionali e di design della comunicazione
- Promuovere la trasparenza delle certificazioni (descrivere criteri e processi) per ridurre ambiguità interpretative;
- Formati anonimi o “blind” nelle valutazioni quando possibile (riduce la salienza della fonte);
- Sistemi che favoriscano l’analisi punto per punto (ad es. strumenti di discussione strutturati che obbligano a rispondere a claim specifici), e moderazione che segnali quando la discussione diventa per lo più ad hominem.
Conclusione e definizione finale
L’ermeneutica difensiva è una forma sofisticata di distorsione interpretativa in cui la percezione della fonte determina una lettura oppositiva del contenuto anche quando quest’ultimo è conforme alle convinzioni del lettore. È un fenomeno che unisce aspetti cognitivi (euristiche e difesa identitaria) e comunicativi (salienza della fonte, attribuzione intenzionale) e che ha impatti rilevanti sulla qualità del dibattito pubblico e sulla fiducia epistemica.
Definizione finale: l’ermeneutica difensiva è la tendenza a interpretare, per ragioni identitarie e euristiche, come contrarie le comunicazioni provenienti da fonti percepite come avverse, indipendentemente dalla corrispondenza reale fra contenuto e credenze del ricevente.